Torno a parlare di felicità qui su Un anno di meraviglia, un argomento che
mi sta a cuore, anche perché ho (abbiamo) notato con dispiacere che nel
nostro gruppo Facebook i commenti sotto al “Lagna day” sono sempre più numerosi di quelli sotto allo “Schiaffa day”. Che Daje di meraviglia sia un gruppo di persone infelici, insoddisfatte e frustrate? Speriamo di no, ma se fosse il tuo caso, ti consiglio vivamente la visione di
Happy, un documentario sulla felicità del 2011, che mi è piaciuto tantissimo.
Baraccopoli di kolkata – India
Un uomo saluta il figlio e va a lavoro. Manoj Singh è un conducente di risciò, la sua casa è una baracca di legno, teli di plastica e lamiera, lavora fino a quattordici ore al giorno trasportando clienti di ogni tipo sul suo risciò, lavora con ogni tipo di tempo metereologico, sole cocente e pioggia battente non lo fermano, mai. Eppure, secondo un sondaggio, la felicità di Manoj è paragonabile a quella di un americano medio.
Manoj definisce la sua casa “confortevole”, ammette di viverci bene con la sua famiglia, anche se d’estate, coi monsoni, ci entra l’acqua. Quando rientra stanco dal lavoro e trova suo figlio ad accoglierlo, Manoj non si sente povero, si sente la persona più ricca del mondo. Ed è felice.
Le domande
Cos’è la felicità? Come funziona? Quali sono le caratteristiche delle persone felici? Ci sono posti o stili di vita più felici di altri? E perché?
Il documentario Happy esplora tali interrogativi e ci porta in giro per il mondo ad incontrare persone e comunità alla ricerca delle risposte a queste domande.
Se pensi sia uno dei soliti documentari faciloni e piacioni, ti sbagli: quello che più mi è piaciuto di Happy è l’approccio scientifico: vengono infatti citati risultati di diverse ricerche fatte sia in America che in tutto il mondo. Tali ricerche lasciano molta speranza, perché attestano che la felicità è sì in parte dovuta alla nostra genetica, ma il nostro comportamento e la nostra volontà sono di grande influenza su di essa. Altre sfatano dei miti molto radicati nella cultura occidentale, ovvero che la felicità dipenda dai soldi (ok magari ci eravamo arrivati da soli, spero). Queste ultime ricerche hanno constatato l’importanza dei valori: chi persegue obiettivi intrinsechi (crescita personale, relazioni, volontà di aiutare) è più felice di chi persegue obiettivi estrinsechi (soldi, immagine, stato sociale). Ancora una volta, qui su Un anno di meraviglia, non possiamo che dire HELL YEAH!
Elementi della felicità
Quindi, quali sono gli elementi che contribuiscono alla felicità? Ce ne sono diversi, non te li svelo tutti (no spoiler!), ti dico solo che questo documentario spiega molto bene come la felicità agisce sul cervello e su come quindi intraprendere delle determinate azioni quotidiane ci aiuti a stare bene:
“Dovremmo pensare alla felicità come a un’abilità non diversa dall’imparare il violino o il gioco del golf.”
Fare attività fisica, fare cose diverse ogni giorno, fare cose che ci fanno stare bene, anche piccole cose, sono passi verso la felicità.
Quello che mi è piaciuto di più sono le storie di persone e comunità, raccontate dai protagonisti. Confesso che ho lacrimato più di una volta (sniff) perché è molto facile empatizzare con queste persone.
C’è il surfista brasiliano, attempato e saggio, ancora re delle onde, che vive in una piccola casa vicino alla spiaggia:
“Non ha senso fare soldi per se stessi, se non ci si prende cura di sé. Se non si ha un sogno o non si è felici.”
Melissa, bellissima donna investita da un camion, sopravvissuta, completamente sfigurata, con una vita in pezzi, che ora, dopo essersi rimessa in sesto, riesce a dire di essere felice anche grazie a quanto le è accaduto.
La storia di una vedova giapponese, il cui marito è morto per sfinimento (!!!) a causa degli intensissimi turni e stress in fabbrica.
Scopriamo che il Giappone è il paese più infelice: dal dopoguerra le forze del governo si sono concentrate sullo sviluppo economico e industriale del paese, con davvero poca attenzione ad altri aspetti della vita. In Giappone il lavoro viene prima di tutto, tutti lavorano tantissimo, il che porta le persone ad altissimi livelli di stress con un conseguente alto tasso di suicidi e un bassissimo tasso di felicità. La morte per sfinimento ha anche un nome,
Karōshi, che, se ci pensi, è davvero terrificante.
Felicità intorno al mondo
Gli autori del documentario ci portano intorno al mondo a visitare tanti paesi e comunità.
In Bhutan, dove il governo vuole massimizzare la felicità interna lorda invece di prodotto interno lordo. Probabilmente ti ricordi i titoloni usciti anche sui giornali nostrani qualche anno fa, no? Il Ministro di comunicazione e informazione dice
“La felicità interna lorda è la responsabilità del governo a creare un ambiente dove i cittadini possano ricercare la felicità.”
Chissà se ce lo prestano questo ministro? Il FIL dovrebbe essere l’obiettivo di ogni governo!
In Danimarca, il paese più felice: a parte l’istruzione e sanità pubblica e disponibile per tutti, a ogni età, esistono tante comunità di residenza, dei terreni o palazzi dove le persone vivono in mini appartamenti e condividono aree comuni. Tutti si aiutano, la cura dei figli è distribuita tra tutti, gli anziani diventano i nonni di tutti. A chi non piacerebbe vivere in un posto così? Chissà se qui ci sono esperimenti simili?
A Okinawa, dove c’è il più alto tasso di centenari: nei villaggi le persone anziane lavorano, si incontrano, ci sono contatti tra le generazioni, tutti beneficiano del sostegno della comunità, della collaborazione tra i cittadini.
“Felicità è avere tanti amici.”
dice una signora anziana di un villaggio di Okinawa. Come darle torto?
Gli stereotipi sulla felicità
Infine, un altro aspetto che mi è piaciuto è la messa in discussione di preconcetti e stereotipi quale quello molto diffuso che la felicità arrivi o venga tolta dai pochi eventi che ci accadono, che siano belli o brutti. Se siamo infelici e vinciamo alla lotteria, saremo contenti per un po’ ma poi tenderemo a tornare al nostro stato depressivo; se al contrario siamo felici e rimaniamo paralizzati, è probabile che, dopo un periodo doloroso, tenderemo a tornare al nostro stato medio di felicità.
Infine, l’importanza della famiglia, della tribù scelta, della comunità: le persone più felici sono quelle che possono contare su una rete sociale, che sia la famiglia, un gruppo di amici, il quartiere, il villaggio, per non sentirsi soli e sapere di poter contare sull’aiuto altrui nei momenti difficili. Un po’ come Un anno di meraviglia, no?
Conclusione
Gli aspetti esaminati sono tanti, alcuni dei quali forse in maniera superficiale (es. felicità e religione) ma secondo me ci si può passare sopra, perché alla fine della visione ti sentirai comunque spinta a voler intraprendere quei piccoli passi suggeriti per andare verso la felicità. Se così fosse, sul sito del documentario, nella sezione
Get involved, trovi tanti libri da leggere e altre risorse per aiutarti in questo cammino.
Che ne dici? Lo guarderai? Lo hai già guardato? Racconta nei commenti cosa ne pensi!
Titolo: Happy
Anno: 2011
Regista: Roko Belic
Durata: 1h15″
Voto IMDB: 7.2/10
Fran, Lalla, Luisa, Irene